Uncategorized / 7 Aprile 2016 / by Vincenzo Vinciguerra

I Trojan Horse nel tablet contro la mafia

Intercettazioni ambientali a tutto campo. Il tribunale del riesame di Palermo, con ordinanza dell’11 gennaio scorso, in un procedimento contro la criminalità organizzata, autorizza l’utilizzo di un’operazione condotta su un tablet, attraverso l’installazione di un «captatore informatico» (trojan horse), con un’area quindi estremamente mobile, in grado di seguire gli spostamenti dell’apparecchio. Una decisione che interviene su un tema assai delicato, sul quale dovranno esprimersi le Sezioni unite penali della Cassazione (si veda «Il Sole 24 Ore» del 26 marzo scorso), chiamate a pronunciarsi sulla necessità di una specifica indicazione, nel decreto di autorizzazione, dei luoghi dove deve essere effettuata l’intercettazione. In assenza della quale il decreto sarebbe colpito da illegittimità e i risultati da inutilizzabilità.

La difesa aveva provato a fare valere due argomentazioni, contestando il decreto da una parte perché avrebbe reso possibile l’intercettazione anche nella dimora privata, senza chiarire sull’attualità dell’azione criminale in quel luogo; dall’altra perché troppo generico, rendendo possibile l’accesso alle comunicazioni in qualsiasi luogo si rechi la persona sospetta, portando con sé l’apparecchio: ne verrebbero così compressi i valori di libertà e segretezza delle comunicazioni tutelati dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Sul primo punto il tribunale se la cava agevolmente sottolineando come la natura del procedimento, contro la mafia, rende superflua la motivazione sull’esistenza di un’attività criminale nella dimora privata. Sul secondo, invece, il tribunale si muove con maggiore difficoltà, ritenendo comunque che l’autorizzazione emessa dal Gip contiene garanzie sufficienti contro un’intrusione indiscriminata dell’attività investigativa nella privacy altrui. Il tribunale ritiene cioè che il decreto abbia indicato comunque con precisione le coordinate e i confini dell’intercettazione ambientale. La premessa è che il Gip aveva precisato, nelle motivazioni del provvedimento, che il tablet rivestiva un ruolo chiave nel permettere alla persona sospettata di tornare a ricoprire, dopo un periodo di carcerazione, un ruolo chiave nelle dinamiche dell’organizzazione criminale.

Era infatti attraverso il supporto informatico che veniva conservata la rete di rapporti con gli altri aderenti all’associazione mafiosa. Il giudice aveva così messo in evidenza sia la permanenza del vincolo mafioso, cioè l’attuale svolgimento del reato associativo, sia il collegamento tra l’apparecchio infiltrato e il ventaglio di relazioni determinanti per l’operatività del sodalizio, «riattivatasi proprio intorno all’uso di quel mezzo di comunicazione». Quanto allo snodo cruciale della delimitazione delle intercettazioni, il Gip le ammette «nella stanza in cui è ubicato in quel momento l’apparecchio portatile». Troppo vago? Il tribunale del riesame non è questo avviso e ritiene invece che, con questa formula, vengono escluse tutte le altre stanze della dimora privata, con un aumento, in realtà delle garanzie della privacy rispetto a intercettazione ambientale tout court al domicilio dell’indagato.

Inoltre, questa delimitazione assicura che le conversazioni acquisite non hanno per oggetto vicende private familiari (sul punto l’ordinanza ricorda che il trojan inserito in un pc non arriva a intercettare oltre i dieci metri di distanza), ma solo e soltanto l’attività criminale svoltasi per mezzo del tablet e intorno a questo, circoscrivendo, è il giudizio del riesame, ulteriormente l’ambito spaziale di intrusione nella sfera riservata altrui.

fonte: http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2016-04-06/vai-libera-captatore-tablet-174400.php?uuid=ACNEcP2C&refresh_ce=1

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I Trojan Horse nel tablet contro la mafia

Intercettazioni ambientali a tutto campo. Il tribunale del riesame di Palermo, con ordinanza dell’11 gennaio scorso, in un procedimento contro la criminalità organizzata, autorizza l’utilizzo di un’operazione condotta su un tablet, attraverso l’installazione di un «captatore informatico» (trojan horse), con un’area quindi estremamente mobile, in grado di seguire gli spostamenti dell’apparecchio. Una decisione che interviene su un tema assai delicato, sul quale dovranno esprimersi le Sezioni unite penali della Cassazione (si veda «Il Sole 24 Ore» del 26 marzo scorso), chiamate a pronunciarsi sulla necessità di una specifica indicazione, nel decreto di autorizzazione, dei luoghi dove deve essere effettuata l’intercettazione. In assenza della quale il decreto sarebbe colpito da illegittimità e i risultati da inutilizzabilità.

La difesa aveva provato a fare valere due argomentazioni, contestando il decreto da una parte perché avrebbe reso possibile l’intercettazione anche nella dimora privata, senza chiarire sull’attualità dell’azione criminale in quel luogo; dall’altra perché troppo generico, rendendo possibile l’accesso alle comunicazioni in qualsiasi luogo si rechi la persona sospetta, portando con sé l’apparecchio: ne verrebbero così compressi i valori di libertà e segretezza delle comunicazioni tutelati dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Sul primo punto il tribunale se la cava agevolmente sottolineando come la natura del procedimento, contro la mafia, rende superflua la motivazione sull’esistenza di un’attività criminale nella dimora privata. Sul secondo, invece, il tribunale si muove con maggiore difficoltà, ritenendo comunque che l’autorizzazione emessa dal Gip contiene garanzie sufficienti contro un’intrusione indiscriminata dell’attività investigativa nella privacy altrui. Il tribunale ritiene cioè che il decreto abbia indicato comunque con precisione le coordinate e i confini dell’intercettazione ambientale. La premessa è che il Gip aveva precisato, nelle motivazioni del provvedimento, che il tablet rivestiva un ruolo chiave nel permettere alla persona sospettata di tornare a ricoprire, dopo un periodo di carcerazione, un ruolo chiave nelle dinamiche dell’organizzazione criminale.

Era infatti attraverso il supporto informatico che veniva conservata la rete di rapporti con gli altri aderenti all’associazione mafiosa. Il giudice aveva così messo in evidenza sia la permanenza del vincolo mafioso, cioè l’attuale svolgimento del reato associativo, sia il collegamento tra l’apparecchio infiltrato e il ventaglio di relazioni determinanti per l’operatività del sodalizio, «riattivatasi proprio intorno all’uso di quel mezzo di comunicazione». Quanto allo snodo cruciale della delimitazione delle intercettazioni, il Gip le ammette «nella stanza in cui è ubicato in quel momento l’apparecchio portatile». Troppo vago? Il tribunale del riesame non è questo avviso e ritiene invece che, con questa formula, vengono escluse tutte le altre stanze della dimora privata, con un aumento, in realtà delle garanzie della privacy rispetto a intercettazione ambientale tout court al domicilio dell’indagato.

Inoltre, questa delimitazione assicura che le conversazioni acquisite non hanno per oggetto vicende private familiari (sul punto l’ordinanza ricorda che il trojan inserito in un pc non arriva a intercettare oltre i dieci metri di distanza), ma solo e soltanto l’attività criminale svoltasi per mezzo del tablet e intorno a questo, circoscrivendo, è il giudizio del riesame, ulteriormente l’ambito spaziale di intrusione nella sfera riservata altrui.

fonte: http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2016-04-06/vai-libera-captatore-tablet-174400.php?uuid=ACNEcP2C&refresh_ce=1

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