Il diritto all’oblio statuito dai giudici della Corte di giustizia europea inizia a essere riconosciuto anche in Italia in via amministrativa. Il Garante della privacy ha, infatti, discusso le prime segnalazioni di cittadini che chiedevano di “rimossi” da Google ritenendo la richiesta fondata due volte su nove.

In particolare, l’Authority ha accolto il ricorso di una signora coinvolta in un procedimento giudiziario la quale chiedeva a Google di deindicizzare la ricerca che rimandava a un sito in cui erano contenuti dati personali riservati, sottratti illegalmente o falsificati.

Google si è giustificata dicendo che quelle informazioni riguardavano la vita professionale della ricorrente e, pertanto, dovevano essere considerate di interesse pubblico. Invece il Garante ha deciso che nel caso di specie la richiesta avesse fondamento e ha imposto al colosso tecnologico americano di applicare il diritto all’oblio.

Alla stessa conclusione l’Autorità è giunta nel caso di un cittadino che, coinvolto tra il 2006 e il 2007 in una vicenda di pedofilia dalla quale era stato assolto nel 2009, continuava a trovare su Google link a quell’evento con informazioni non aggiornate. Per questo chiedeva che il motore di ricerca rimuovesse quei risultati. Anche in questo caso Google ha opposto l’interesse pubblico, mentre il Garante ha ravvisato la necessità di cancellare il rimando ai dati.

 

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