Uncategorized / 15 Marzo 2018 / by Vincenzo Vinciguerra

Il reato di sostituzione di persona sui social network

La pronuncia della Corte d’Appello di Napoli n. 6764 del 12.7.2017 esamina la condotta di un soggetto, creatore ed utilizzatore di un profilo “social”, chiamato a rispondere del reato di sostituzione di persona ex art. 494 c.p.

A questi, nello specifico, veniva contestato di aver creato su un social network un “profilo” associandolo ad un nome di fantasia e ad un’immagine riferibile ad una persona reale (ma ignara dell’utilizzo indebito della propria foto), successivamente utilizzandola per pubblicare altre foto ritraenti sempre la stessa inconsapevole persona e inviare, a nome della stessa, richieste di amicizia verso diversi utenti.

Al riguardo, pare, innanzitutto, opportuno ricordare che il reato in esame costituisce una fattispecie a condotta alternativa, posto che la norma punisce chiunque induce taluno in errore, (i) sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, (ii) o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.

Mentre, sotto il profilo soggettivo, viene richiesto il dolo specifico determinato dal fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno.

Aggiungiamo che la giurisprudenza è pacifica nell’individuare il bene giuridico tutelato dalla norma sia negli interessi privati nella cui sfera giuridica l’atto sia destinato ad incidere concretamente, sia nella fede pubblica – tutela che deriva anche dalla stessa collocazione della norma nel codice tra i reati contro la fede pubblica – trattandosi di inganni che, soprattutto mediante l’uso di internet, possono superare la ristretta cerchia di un determinato destinatario e coinvolgere un numero indeterminato di persone.

Troviamo allora che, tale norma, più di altre, risulta avere una sempre maggiore applicazione, frutto di un’interpretazione estensiva, nei confronti delle condotte che ruotano intorno al mondo dei social network e che consentono un’illimitata comunicazione tra utenti tramite condivisione di generalità, immagini e caratteristiche personali nel mondo del web.

Trattando del caso oggetto della sentenza napoletana, il rilievo sollevato dalla difesa nei confronti della sentenza di condanna di primo grado si è appuntato sulla ritenuta insussistenza del reato di sostituzione di persona essendosi l’imputato limitato ad utilizzare la fotografia senza, tuttavia, associarne il nome o altri identificativi della persona offesa.

La Corte d’appello di Napoli ha, tuttavia, opinato in termini contrari, richiamando i principi della Suprema Corte in tema di sostituzione di persona e ritenendo, pertanto, sufficiente per la sussistenza della fattispecie l’attribuzione ad altri di un falso nome, senza necessità di ulteriori identificativi, realizzata, in questo caso, mediante l’induzione di terze persone in errore, ovvero le persone a cui è stata trasmessa la richiesta di amicizia dal profilo incriminato (Cass. pen., sez. V, 8 novembre 2007, n. 46674).

Sul fronte della componente psicologica, poi, il dolo specifico veniva individuato nel fatto che l’imputato avrebbe procurato a sé un vantaggio, ovvero si sarebbe procurato amicizie attirandole con le foto di una bella ragazza.

Come detto, la decisione dei Giudici d’appello campani è stata ispirata da un indirizzo giurisprudenziale del tutto consolidato e che ha visto, in passato, rintracciare il dolo specifico del delitto de qua anche solo nell’ipotesi di creazione di un profilo con falsa identità al solo fine di utilizzare i servizi del sito (Cass. pen. Sez. V, 23 aprile 2014).

Guardando alla casistica, si rivelano, poi, interessanti le conseguenze dell’utilizzo del nickname (che, in concreto, ha lo stesso valore di pseudonimo o di nome di fantasia) quando è, effettivamente, riconducibile ad una persona e può essere assimilato al nome, dal momento che la tutela civilistica offerta dal diritto alla identità ai sensi dell’art. 9 c.c. consente di ritenere che l’attribuzione dello stesso a sé o ad altri costituisca una pacifica condotta rilevante nei termini di cui all’art. 494 c.p. (Cass. pen., Sez. II, 21/12/2011, n. 4250; Sez. II 36094/2006).

Per la medesima ragione, anche inserire nel sito di una “chat line” a tema erotico il recapito telefonico di altra persona associato ad un nickname di fantasia, qualora si agisca al fine di arrecare danno alla medesima, costituisce comportamento penalmente rilevante in tal senso, giacché in tal modo gli utilizzatori del servizio vengono tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata allo pseudonimo a ricevere comunicazioni a sfondo sessuale (Cass. Sez. 5, n. 18826 del 28/11/2012).

Quanto detto è, sostanzialmente, conseguenza del fatto che l’indicazione che si rinviene, univocamente espressa dalla clinica giurisprudenziale è che il concetto di “nome” ricomprende non solo il dato anagrafico (nome di battesimo), ma anche tutti i contrassegni di identità e che, pertanto, il reato di sostituzione di persona deve ritenersi sussistente anche se il nome attribuito è immaginario o appartiene ad altra persona e financo quando si attribuisce ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici (Cass. pen., sez. V, 29 aprile 2013, n. 18826).

In conclusione, possiamo dire che l’ampia applicazione del reato di sostituzione di persona ai citati casi di utilizzo di profili sui social network tramite fotografie, nomi o contrassegni di altre persone, esclude i residui dubbi in ordine alla compatibilità di tale estensione con il principio di tassatività ed il divieto di analogia in malam partem, che era stato inizialmente sollevato da alcuni commentatori.

fonte: il sole 24 ore

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Il reato di sostituzione di persona sui social network

La pronuncia della Corte d’Appello di Napoli n. 6764 del 12.7.2017 esamina la condotta di un soggetto, creatore ed utilizzatore di un profilo “social”, chiamato a rispondere del reato di sostituzione di persona ex art. 494 c.p.

A questi, nello specifico, veniva contestato di aver creato su un social network un “profilo” associandolo ad un nome di fantasia e ad un’immagine riferibile ad una persona reale (ma ignara dell’utilizzo indebito della propria foto), successivamente utilizzandola per pubblicare altre foto ritraenti sempre la stessa inconsapevole persona e inviare, a nome della stessa, richieste di amicizia verso diversi utenti.

Al riguardo, pare, innanzitutto, opportuno ricordare che il reato in esame costituisce una fattispecie a condotta alternativa, posto che la norma punisce chiunque induce taluno in errore, (i) sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, (ii) o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.

Mentre, sotto il profilo soggettivo, viene richiesto il dolo specifico determinato dal fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno.

Aggiungiamo che la giurisprudenza è pacifica nell’individuare il bene giuridico tutelato dalla norma sia negli interessi privati nella cui sfera giuridica l’atto sia destinato ad incidere concretamente, sia nella fede pubblica – tutela che deriva anche dalla stessa collocazione della norma nel codice tra i reati contro la fede pubblica – trattandosi di inganni che, soprattutto mediante l’uso di internet, possono superare la ristretta cerchia di un determinato destinatario e coinvolgere un numero indeterminato di persone.

Troviamo allora che, tale norma, più di altre, risulta avere una sempre maggiore applicazione, frutto di un’interpretazione estensiva, nei confronti delle condotte che ruotano intorno al mondo dei social network e che consentono un’illimitata comunicazione tra utenti tramite condivisione di generalità, immagini e caratteristiche personali nel mondo del web.

Trattando del caso oggetto della sentenza napoletana, il rilievo sollevato dalla difesa nei confronti della sentenza di condanna di primo grado si è appuntato sulla ritenuta insussistenza del reato di sostituzione di persona essendosi l’imputato limitato ad utilizzare la fotografia senza, tuttavia, associarne il nome o altri identificativi della persona offesa.

La Corte d’appello di Napoli ha, tuttavia, opinato in termini contrari, richiamando i principi della Suprema Corte in tema di sostituzione di persona e ritenendo, pertanto, sufficiente per la sussistenza della fattispecie l’attribuzione ad altri di un falso nome, senza necessità di ulteriori identificativi, realizzata, in questo caso, mediante l’induzione di terze persone in errore, ovvero le persone a cui è stata trasmessa la richiesta di amicizia dal profilo incriminato (Cass. pen., sez. V, 8 novembre 2007, n. 46674).

Sul fronte della componente psicologica, poi, il dolo specifico veniva individuato nel fatto che l’imputato avrebbe procurato a sé un vantaggio, ovvero si sarebbe procurato amicizie attirandole con le foto di una bella ragazza.

Come detto, la decisione dei Giudici d’appello campani è stata ispirata da un indirizzo giurisprudenziale del tutto consolidato e che ha visto, in passato, rintracciare il dolo specifico del delitto de qua anche solo nell’ipotesi di creazione di un profilo con falsa identità al solo fine di utilizzare i servizi del sito (Cass. pen. Sez. V, 23 aprile 2014).

Guardando alla casistica, si rivelano, poi, interessanti le conseguenze dell’utilizzo del nickname (che, in concreto, ha lo stesso valore di pseudonimo o di nome di fantasia) quando è, effettivamente, riconducibile ad una persona e può essere assimilato al nome, dal momento che la tutela civilistica offerta dal diritto alla identità ai sensi dell’art. 9 c.c. consente di ritenere che l’attribuzione dello stesso a sé o ad altri costituisca una pacifica condotta rilevante nei termini di cui all’art. 494 c.p. (Cass. pen., Sez. II, 21/12/2011, n. 4250; Sez. II 36094/2006).

Per la medesima ragione, anche inserire nel sito di una “chat line” a tema erotico il recapito telefonico di altra persona associato ad un nickname di fantasia, qualora si agisca al fine di arrecare danno alla medesima, costituisce comportamento penalmente rilevante in tal senso, giacché in tal modo gli utilizzatori del servizio vengono tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata allo pseudonimo a ricevere comunicazioni a sfondo sessuale (Cass. Sez. 5, n. 18826 del 28/11/2012).

Quanto detto è, sostanzialmente, conseguenza del fatto che l’indicazione che si rinviene, univocamente espressa dalla clinica giurisprudenziale è che il concetto di “nome” ricomprende non solo il dato anagrafico (nome di battesimo), ma anche tutti i contrassegni di identità e che, pertanto, il reato di sostituzione di persona deve ritenersi sussistente anche se il nome attribuito è immaginario o appartiene ad altra persona e financo quando si attribuisce ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici (Cass. pen., sez. V, 29 aprile 2013, n. 18826).

In conclusione, possiamo dire che l’ampia applicazione del reato di sostituzione di persona ai citati casi di utilizzo di profili sui social network tramite fotografie, nomi o contrassegni di altre persone, esclude i residui dubbi in ordine alla compatibilità di tale estensione con il principio di tassatività ed il divieto di analogia in malam partem, che era stato inizialmente sollevato da alcuni commentatori.

fonte: il sole 24 ore

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