Uncategorized / 5 Luglio 2016 / by Vincenzo Vinciguerra

Il socio può registrare all’estero il brand in comunione

Non esiste un diritto ad estendere la contitolarità del marchio italiano nei confronti di marchi esteri non comunitari e non internazionali. Finisce sul tavolo della Cassazione (Sezioni unite sentenza 13570) una lite tra i soci di una società in nome collettivo contitolari di un marchio. La sezione specializzata nella proprietà industriale del Tribunale, aveva affermato la comunione per pari quote, estendendola anche alle domande di registrazione in ambito nazionale, comunitario ed extranazionale. Un “paletto” che non era piaciuto ad uno dei soci, il quale aveva già presentato singolarmente domanda di registrazione del brand in ambito comunitario e non.

La Cassazione accoglie in parte il suo ricorso. I giudici ricordano che il marchio contraddistingue la provenienza di un prodotto ed è quindi collegato allo svolgimento di un’attività economica di produzione e distribuzione di beni e servizi. Nel caso esaminato la contitolarità del marchio esisteva in Italia perché i soci facevano tutti parte, all’epoca di una Snc che svolgeva una comune attività imprenditoriale. La circostanza lascia però impregiudicata la facoltà, per il socio che intende svolgere in uno stato estero la stessa attività commerciale, di avvalersi del marchio italiano registrandolo a proprio nome nel paese estero. Se così non fosse – sottolinea la Cassazione – un marchio rilasciato in un certo paese avrebbe in realtà validità a livello mondiale e non potrebbe essere usato in nessun altro. Il principio affermato è applicabile nei confronti di tutti gli stati esteri, ad eccezione di quelli dell’Unione europea nel caso del marchio comunitario e degli stati aderenti all’accordo di Madrid per quanto riguarda il marchio internazionale.

Nell’ipotesi esaminata il brand era già stato registrato in Italia a nome di tutti i soci, come accertato con una pronuncia passata in giudicato.

I giudici escludono dunque che il marchio italiano possa avere titolari diversi una volta divenuto comunitario. In tal modo si avrebbero, infatti, due marchi identici, entrambi validi in Italia, ma con titolari diversi: possibilità non contemplata nè dall’ordinamento comunitario né da quello nazionale.

I soci esclusi dalla registrazione comunitaria possono dunque far valere in sede comunitaria, ai fini dell’estensione in ambito Ue, la pronuncia del giudice italiano che ha affermato la contitolarità.

Diversamente dal marchio comunitario per quello internazionale è “centralizzato” solo il deposito della domanda, che sfocia in altrettante richieste nazionali negli stati designati, i quali provvedono tramite i rispettivi uffici all’esame delle domande e attraverso i Tribunali all’accertamento della validità. E dunque ancora una volta entra in gioco il giudice italiano.

fonte: http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2016-07-04/comunione-brand-limitata-ue–194254.php?uuid=ADAkG2n&cmpid=nlql

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Il socio può registrare all’estero il brand in comunione

Non esiste un diritto ad estendere la contitolarità del marchio italiano nei confronti di marchi esteri non comunitari e non internazionali. Finisce sul tavolo della Cassazione (Sezioni unite sentenza 13570) una lite tra i soci di una società in nome collettivo contitolari di un marchio. La sezione specializzata nella proprietà industriale del Tribunale, aveva affermato la comunione per pari quote, estendendola anche alle domande di registrazione in ambito nazionale, comunitario ed extranazionale. Un “paletto” che non era piaciuto ad uno dei soci, il quale aveva già presentato singolarmente domanda di registrazione del brand in ambito comunitario e non.

La Cassazione accoglie in parte il suo ricorso. I giudici ricordano che il marchio contraddistingue la provenienza di un prodotto ed è quindi collegato allo svolgimento di un’attività economica di produzione e distribuzione di beni e servizi. Nel caso esaminato la contitolarità del marchio esisteva in Italia perché i soci facevano tutti parte, all’epoca di una Snc che svolgeva una comune attività imprenditoriale. La circostanza lascia però impregiudicata la facoltà, per il socio che intende svolgere in uno stato estero la stessa attività commerciale, di avvalersi del marchio italiano registrandolo a proprio nome nel paese estero. Se così non fosse – sottolinea la Cassazione – un marchio rilasciato in un certo paese avrebbe in realtà validità a livello mondiale e non potrebbe essere usato in nessun altro. Il principio affermato è applicabile nei confronti di tutti gli stati esteri, ad eccezione di quelli dell’Unione europea nel caso del marchio comunitario e degli stati aderenti all’accordo di Madrid per quanto riguarda il marchio internazionale.

Nell’ipotesi esaminata il brand era già stato registrato in Italia a nome di tutti i soci, come accertato con una pronuncia passata in giudicato.

I giudici escludono dunque che il marchio italiano possa avere titolari diversi una volta divenuto comunitario. In tal modo si avrebbero, infatti, due marchi identici, entrambi validi in Italia, ma con titolari diversi: possibilità non contemplata nè dall’ordinamento comunitario né da quello nazionale.

I soci esclusi dalla registrazione comunitaria possono dunque far valere in sede comunitaria, ai fini dell’estensione in ambito Ue, la pronuncia del giudice italiano che ha affermato la contitolarità.

Diversamente dal marchio comunitario per quello internazionale è “centralizzato” solo il deposito della domanda, che sfocia in altrettante richieste nazionali negli stati designati, i quali provvedono tramite i rispettivi uffici all’esame delle domande e attraverso i Tribunali all’accertamento della validità. E dunque ancora una volta entra in gioco il giudice italiano.

fonte: http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2016-07-04/comunione-brand-limitata-ue–194254.php?uuid=ADAkG2n&cmpid=nlql

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