Uncategorized / 20 Marzo 2018 / by Vincenzo Vinciguerra

No alla rimozione d’urgenza di un articolo digitale

Nessun provvedimento cautelare atipico, sulla base dell’articolo 700 del Codice di procedura civile, ad esempio la rimozione o la deindicizzazione del link, può inibire la libera circolazione di un articolo, che deve rimanere consultabile, anche su internet, fino a che non ne sia stata accertata la diffamatorietà con sentenza passata in giudicato.

Avendo gli stessi effetti di un sequestro, infatti, prima di tale momento un simile provvedimento violerebbe l’articolo 21, comma 3 della Costituzione che ne vieta di massima l’adozione per la stampa, ma anche per i “prodotti” ad essa assimilabili, ove si ipotizzi la commissione di un reato.

La Suprema Corte, infatti, con due sentenze a Sezioni Unite (la 23469/2016 delle Sezioni unite civili e la 31022/2015 delle Sezioni unite penali) ha stabilito che le garanzie, previste per la stampa, si estendono anche al giornale telematico, quando possieda «i medesimi tratti caratterizzanti» del periodico tradizionale.

Tuttavia, poiché nessun diritto fondamentale è protetto in termini assoluti dalla Costituzione, si possono adottare, sempre in via cautelare, rimedi che tutelino medio tempore il presunto diffamato, ad esempio l’aggiornamento o l’integrazione dell’articolo, dando spazio alla sua versione dei fatti o dando atto della loro eventuale evoluzione.

Tale limite non vale, però, quando l’azione è promossa a tutela non della reputazione, ma di altri diritti fondamentali, ad esempio quelli connessi al trattamento dei dati, per i quali vigono norme e criteri diversi.

È questo il principio, enunciato dalla I Sezione civile del tribunale di Milano (Presidente Roberto Bichi, estensore Martina Flamini) nell’ordinanza del 25 gennaio 2018, con la quale è stato rigettato il reclamo, proposto contro il provvedimento che aveva dichiarato inammissibile il ricorso per inibire, in via d’urgenza, l’ulteriore circolazione on line di un articolo, ritenuto diffamatorio, perché in contrasto con il divieto, stabilito dalle Sezioni unite civili, con la citata pronuncia.

L’ordinanza, dopo aver riconosciuto la facoltà di agire, a tutela dei propri diritti fondamentali, anche se in contrasto con diritti di pari rango costituzionale, il che avrebbe implicato un esame nel merito del ricorso; ed aver constatato come, nel caso in esame, il provvedimento richiesto non potesse esser adottato, avendo effetti equivalenti ad un sequestro, riconosce la particolare dannosità, a volte irreparabile, della permanenza online di notizie potenzialmente lesive; e rileva come equi ed adeguati possano risultare rimedi, diversi dalla eliminazione dell’articolo, ma idonei ad informare gli utenti sulle “voci contrarie”, sulla “verità soggettiva” dell’interessato, sull’evoluzione delle informazioni o sull’esistenza di un processo in corso per accertarne la legittimità.

Si tratta di rimedi integrativi o correttivi che, tra l’altro, promuovono il pluralismo, anch’esso tutelato dall’articolo 21 della Costituzione e svolgono più o meno la stessa funzione della tradizionale rettifica, pur avendo quest’ultima presupposti e fini diversi.

La posizione assunta dai giudici pare assai equilibrata, ma impone qualche riflessione, tenuto conto del coinvolgimento diretto della fonte, che interviene sul contenuto dell’articolo.

L’interessato, perciò, potrà segnalare eventuali incongruità o errori o sviluppi che, però, per essere inseriti nel circuito informativo, dovranno essere adeguatamente documentati e sottoposti preventivamente alle verifiche della struttura redazionale, proprio a tutela di quello stesso pluralismo che non tollera, però, la circolazione di informazioni false o manipolate.

La richiesta potrà, dunque, essere respinta, anche in sede giudiziaria, ove le informazioni supplementari non risultino supportate da prove certe.

Inoltre, gli strumenti indicati dovranno essere usati con parsimonia e lo spazio potrà essere concesso solo quando ci sia davvero bisogno di replicare e non, ad esempio, come sovente accade, per confutare una deduzione o un’opinione critica che, come tali, se la forma è equilibrata, non sono passibili di alcuna “correzione”.

Anche in questo caso, sarà compito del giudice investito della questione, ove la richiesta non venga accolta, valutare caso per caso se essa abbia ad oggetto un’integrazione che davvero arricchisce il patrimonio cognitivo degli utenti o se, invece, non risulti inutile o, ancor peggio, altro non sia che una inutile indebita interferenza sulla libertà di informazione. Come dire, tutela sì, ma non ad ogni costo…

fonte: il sole 24 ore: http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2018-03-19/no-rimozione-d-urgenza-un-articolo-digitale-211910.php?uuid=AEzvQfJE&cmpid=nlql

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No alla rimozione d’urgenza di un articolo digitale

Nessun provvedimento cautelare atipico, sulla base dell’articolo 700 del Codice di procedura civile, ad esempio la rimozione o la deindicizzazione del link, può inibire la libera circolazione di un articolo, che deve rimanere consultabile, anche su internet, fino a che non ne sia stata accertata la diffamatorietà con sentenza passata in giudicato.

Avendo gli stessi effetti di un sequestro, infatti, prima di tale momento un simile provvedimento violerebbe l’articolo 21, comma 3 della Costituzione che ne vieta di massima l’adozione per la stampa, ma anche per i “prodotti” ad essa assimilabili, ove si ipotizzi la commissione di un reato.

La Suprema Corte, infatti, con due sentenze a Sezioni Unite (la 23469/2016 delle Sezioni unite civili e la 31022/2015 delle Sezioni unite penali) ha stabilito che le garanzie, previste per la stampa, si estendono anche al giornale telematico, quando possieda «i medesimi tratti caratterizzanti» del periodico tradizionale.

Tuttavia, poiché nessun diritto fondamentale è protetto in termini assoluti dalla Costituzione, si possono adottare, sempre in via cautelare, rimedi che tutelino medio tempore il presunto diffamato, ad esempio l’aggiornamento o l’integrazione dell’articolo, dando spazio alla sua versione dei fatti o dando atto della loro eventuale evoluzione.

Tale limite non vale, però, quando l’azione è promossa a tutela non della reputazione, ma di altri diritti fondamentali, ad esempio quelli connessi al trattamento dei dati, per i quali vigono norme e criteri diversi.

È questo il principio, enunciato dalla I Sezione civile del tribunale di Milano (Presidente Roberto Bichi, estensore Martina Flamini) nell’ordinanza del 25 gennaio 2018, con la quale è stato rigettato il reclamo, proposto contro il provvedimento che aveva dichiarato inammissibile il ricorso per inibire, in via d’urgenza, l’ulteriore circolazione on line di un articolo, ritenuto diffamatorio, perché in contrasto con il divieto, stabilito dalle Sezioni unite civili, con la citata pronuncia.

L’ordinanza, dopo aver riconosciuto la facoltà di agire, a tutela dei propri diritti fondamentali, anche se in contrasto con diritti di pari rango costituzionale, il che avrebbe implicato un esame nel merito del ricorso; ed aver constatato come, nel caso in esame, il provvedimento richiesto non potesse esser adottato, avendo effetti equivalenti ad un sequestro, riconosce la particolare dannosità, a volte irreparabile, della permanenza online di notizie potenzialmente lesive; e rileva come equi ed adeguati possano risultare rimedi, diversi dalla eliminazione dell’articolo, ma idonei ad informare gli utenti sulle “voci contrarie”, sulla “verità soggettiva” dell’interessato, sull’evoluzione delle informazioni o sull’esistenza di un processo in corso per accertarne la legittimità.

Si tratta di rimedi integrativi o correttivi che, tra l’altro, promuovono il pluralismo, anch’esso tutelato dall’articolo 21 della Costituzione e svolgono più o meno la stessa funzione della tradizionale rettifica, pur avendo quest’ultima presupposti e fini diversi.

La posizione assunta dai giudici pare assai equilibrata, ma impone qualche riflessione, tenuto conto del coinvolgimento diretto della fonte, che interviene sul contenuto dell’articolo.

L’interessato, perciò, potrà segnalare eventuali incongruità o errori o sviluppi che, però, per essere inseriti nel circuito informativo, dovranno essere adeguatamente documentati e sottoposti preventivamente alle verifiche della struttura redazionale, proprio a tutela di quello stesso pluralismo che non tollera, però, la circolazione di informazioni false o manipolate.

La richiesta potrà, dunque, essere respinta, anche in sede giudiziaria, ove le informazioni supplementari non risultino supportate da prove certe.

Inoltre, gli strumenti indicati dovranno essere usati con parsimonia e lo spazio potrà essere concesso solo quando ci sia davvero bisogno di replicare e non, ad esempio, come sovente accade, per confutare una deduzione o un’opinione critica che, come tali, se la forma è equilibrata, non sono passibili di alcuna “correzione”.

Anche in questo caso, sarà compito del giudice investito della questione, ove la richiesta non venga accolta, valutare caso per caso se essa abbia ad oggetto un’integrazione che davvero arricchisce il patrimonio cognitivo degli utenti o se, invece, non risulti inutile o, ancor peggio, altro non sia che una inutile indebita interferenza sulla libertà di informazione. Come dire, tutela sì, ma non ad ogni costo…

fonte: il sole 24 ore: http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2018-03-19/no-rimozione-d-urgenza-un-articolo-digitale-211910.php?uuid=AEzvQfJE&cmpid=nlql

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