È una bocciatura a 360 gradi quella con cui il Tribunale di Torino, sentenza 1° marzo 2017, ha respinto il ricorso di Uber contro il provvedimento che, nel maggio 2015, in via cautelare (su iniziativa delle società che gestiscono i servizi Taxi di Milano, Torino, Genova), aveva bloccato l’utilizzo dell’App mediante la quale si esplicava il servizio. La Sezione Specializzata in materia di Impresa ha, infatti, accertato e dichiarato la «concorrenza sleale» di Uber Italiy, e delle due controllanti straniere, insieme ai driversda esse reclutati, e ha inibito «l’utilizzazione sul territorio nazionale dell’app UberPop e, comunque, la prestazione di un servizio – comunque denominato e con qualsiasi mezzo promosso e diffuso – che organizzi, diffonda e promuova da parte di soggetti privi di autorizzazione amministrativa e/o di licenza un trasporto terzi dietro corrispettivo su richiesta del trasportato».
Uber, dal canto suo, ha sostenuto di fornire un servizio diverso da quello dei taxi, costituito esclusivamente da una piattaforma tecnologica, rivolto a una community, e mirante a favorire il trasporto condiviso. Un servizio compatibile con le norme in materia di trasporto non di linea e con il codice della strada. Il Tribunale però ha smontato una dopo l’altra tutte le argomentazioni dei ricorrenti. In primis ha affermato che l’applicazione è liberamente scaricabile da chiunque abbia uno smartphone e dunque non si rivolge a una utenza limitata. Neppure può essere assimilata al car sharing dal momento che non si condivide un percorso ma si mette a disposizione la propria vettura e la propria attività di guida in cambio di un corrispettivo determinato da un tariffario predisposto dalla società.
Non solo, aspetto su cui la decisione ha insistito molto, gli autisti, e le auto utilizzate, non sono sottoposti alla licenza comunale e a tutti gli obblighi e controlli in vigore per i tassisti, ma soltanto a una porzione molto ridotta di essi operata dalla casa madre. Condizioni «minime» ritenute «del tutto insufficienti rispetto a quelle previste dalla legge».
Uber, ricostruisce il Tribunale, ben lungi dall’essere un semplice «intermediario», percepisce il 20% di tutte le transazione che avvengono tramite pagamento elettronico e direttamente a favore della società; gestisce l’applicazione e la messa in contatto di conducenti e utenti; seleziona gli autisti; rilascia le ricevute. Drivers e gestori dell’app, dunque, «costituiscono un sistema integrato idoneo a rendere il servizio» che, così complessivamente strutturato e fornito, «si pone in concorrenza con il trasporto pubblico dei taxi». E, prosegue la sentenza, siccome il mercato del trasporto pubblico non in linea è regolato da una specifica normativa, Uber sottraendosi a una serie di obblighi può fornire il medesimo servizio a condizioni più vantaggiose, così incidendo sulla «dinamica concorrenziale». In definitiva, per il Collegio, Uber e i relativi conducenti «traggono dalla molteplice violazione delle norme che, imponendo limiti ed obblighi a vantaggio della sicurezza e incolumità del pubblico dei consumatori, regolamentano il settore, un vantaggio competitivo contrario alla correttezza professionale presidiata dall’art. 2598 n. 3 c.c».
Inoltre, prosegue la sentenza, «se è vero che sono i singoli autisti a guidare abusivamente i propri veicoli e che dunque è ad essi riferibile l’illecito amministrativo, è sicuramente vero che è UBER che organizza tutta l’attività, facendone il suo principale oggetto sociale e con ciò danneggiando quelli che sono i diretti concorrenti». Così facendo, «si comporta né più ne meno come una qualsiasi entità di radio-taxi, organizza in forma collettiva un servizio di trasporto abusivo, sfrutta i vantaggi che derivano della violazione di norme pubblicistiche formalmente imputabile ad altri per realizzare un profitto, con la conseguenza che anch’essa viola i principi della correttezza tra imprenditori in misura anche maggiore di quanto possa dirsi per i singoli conducenti abusivi». Il servizio, spiega il Tribunale, rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 21/1992 che nella nozione di “trasporto pubblico non di linea” ammette due sole distinzioni: quella di operatore taxi e quella di operatore di NCC (noleggio con conducente), per cui «le possibili nuove modalità del servizio», dovranno essere regolate «da uno specifico intervento del legislatore».
Infine il Tribunale ha anche bocciato a richiesta di rinvio della questione alla Consulta ed alla giurisdizioni europee rispetto alle quali ha affermato che «le attività di taxi e noleggio con conducente non rientrano nell’ambito di applicazione delle disposizioni dettate in tema di liberalizzazione dei servizi di trasporto (art. 3, comma 11-bis, Legge n. 148/2011), ma rappresentano invece un settore a tutt’oggi rimesso ai singoli Stati Membri dell’Unione, per le intuibili necessità, anche locali, di tutela della sicurezza pubblica».
fonte: http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2017-03-27/uber-stop-servizio-concorrenza-sleale-i-taxi-171214.php?uuid=AEc9GOu&cmpid=nlql