Uncategorized / 19 Marzo 2015 / by Vincenzo Vinciguerra

Dipendente inventore, l’uso non dà diritto al compenso se manca il brevetto

Anche nell’ipotesi di invenzione cosiddetta «occasionale» (articolo 24 del Rd n. 1127/1939), «la concessione del brevetto costituisce la condicio iuris cui è subordinato l’esercizio del diritto del lavoratore, autore dell’invenzione, al canone o al prezzo, non essendo sufficiente l’asserita utilizzazione di fatto dell’invenzione da parte del datore di lavoro». Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 5424/2015 , respingendo il ricorso del dipendente.

Il caso
– La vicenda origina dall’invenzione di un prodotto sigillante fatta da un addetto alle vendite, dunque senza alcun legame con la sua attività lavorativa. Una società americana, secondo il ricorrente controllante l’azienda, depositò una domanda di brevetto. Terminato il rapporto, l’ormai ex dipendente chiese la condanna dell’impresa al pagamento del «compenso, o equo premio o prezzo». La Corte d’appello di Lecce, confermando la pronuncia di primo grado, «dopo aver qualificato l’invenzione come “occasionale” e ritenuto che, per tale tipo di invenzione (ante Dlgs 10 febbraio 2005 n. 30), il prezzo è dovuto solo dopo che il lavoratore ne abbia richiesto il brevetto, ha escluso il diritto in difetto di quest’ultima condizione».


I tipi di invenzione
– La Suprema corte spiega che la scissione tra il diritto morale a veder riconosciuta la paternità dell’invenzione e quello patrimoniale opera unicamente quando la scoperta «avvenga nell’esecuzione della prestazione lavorativa (“invenzione di servizio”), oppure nell’adempimento degli obblighi nascenti dal contratto di lavoro (“invenzione d’azienda”)». Ipotesi del tutto distinta è invece quella delle “invenzioni occasionali” (articolo 24), indipendenti dalle mansioni svolte dal lavoratore. In queste ipotesi, infatti, «ritorna ad essere operante la regola generale che attribuisce all’inventore il diritto di brevetto nel suo contenuto pieno», pur attribuendo al datore un diritto di prelazione.

Per gli ermellini, dunque, il giudice di merito ha inquadrato correttamente come invenzione occasionale la scoperta senza dare peso alla lettera della domanda che parlava indifferentemente di «prezzo dell’invenzione, compenso o equo premio». In quanto la causa petendi aveva espressamente escluso che la scoperta potesse essere definita come “invenzione di servizio”. E proporla ora configura una mutatio libelli non consentita.

Il brevetto
– Inoltre, prosegue la sentenza, «se è possibile distinguere il diritto al brevetto da quello sul brevetto, e dunque una circolazione distinta di entrambi», ciò non di meno «soltanto chi brevetta il bene ha il potere di esclusiva». Si è dunque in presenza di un vero e proprio vincolo sinallagmatico, «in forza del quale il diritto del lavoratore può essere esercitato nei confronti del datore di lavoro, solo nel caso in cui questi abbia provveduto a brevettare l’invenzione, oppure abbia esercitato, previa brevettazione da parte del lavoratore, l’opzione di acquisto dello stesso, o del suo uso esclusivo o non esclusivo».

In questo senso non può condividersi la tesi del ricorrente neppure quando asserisce che «il brevetto richiesto dalla società che esercita il controllo sull’odierna controricorrente, costituirebbe la prova di un uso di fatto dell’invenzione da parte di quest’ultima, sufficiente a far sorgere il diritto al compenso del ricorrente». E tanto per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, perché contrasta con la normativa di riferimento (articoli 4 e 24 Rd n. 1127/1939, e 2584 Cc ) che «non ammette un esercizio di fatto del diritto di prelazione». In secondo luogo, perché il supposto collegamento con la casa madre non è mai stato dimostrato (e la società italiana non ha mai esercitato la prelazione).

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Dipendente inventore, l’uso non dà diritto al compenso se manca il brevetto

Anche nell’ipotesi di invenzione cosiddetta «occasionale» (articolo 24 del Rd n. 1127/1939), «la concessione del brevetto costituisce la condicio iuris cui è subordinato l’esercizio del diritto del lavoratore, autore dell’invenzione, al canone o al prezzo, non essendo sufficiente l’asserita utilizzazione di fatto dell’invenzione da parte del datore di lavoro». Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 5424/2015 , respingendo il ricorso del dipendente.

Il caso
– La vicenda origina dall’invenzione di un prodotto sigillante fatta da un addetto alle vendite, dunque senza alcun legame con la sua attività lavorativa. Una società americana, secondo il ricorrente controllante l’azienda, depositò una domanda di brevetto. Terminato il rapporto, l’ormai ex dipendente chiese la condanna dell’impresa al pagamento del «compenso, o equo premio o prezzo». La Corte d’appello di Lecce, confermando la pronuncia di primo grado, «dopo aver qualificato l’invenzione come “occasionale” e ritenuto che, per tale tipo di invenzione (ante Dlgs 10 febbraio 2005 n. 30), il prezzo è dovuto solo dopo che il lavoratore ne abbia richiesto il brevetto, ha escluso il diritto in difetto di quest’ultima condizione».


I tipi di invenzione
– La Suprema corte spiega che la scissione tra il diritto morale a veder riconosciuta la paternità dell’invenzione e quello patrimoniale opera unicamente quando la scoperta «avvenga nell’esecuzione della prestazione lavorativa (“invenzione di servizio”), oppure nell’adempimento degli obblighi nascenti dal contratto di lavoro (“invenzione d’azienda”)». Ipotesi del tutto distinta è invece quella delle “invenzioni occasionali” (articolo 24), indipendenti dalle mansioni svolte dal lavoratore. In queste ipotesi, infatti, «ritorna ad essere operante la regola generale che attribuisce all’inventore il diritto di brevetto nel suo contenuto pieno», pur attribuendo al datore un diritto di prelazione.

Per gli ermellini, dunque, il giudice di merito ha inquadrato correttamente come invenzione occasionale la scoperta senza dare peso alla lettera della domanda che parlava indifferentemente di «prezzo dell’invenzione, compenso o equo premio». In quanto la causa petendi aveva espressamente escluso che la scoperta potesse essere definita come “invenzione di servizio”. E proporla ora configura una mutatio libelli non consentita.

Il brevetto
– Inoltre, prosegue la sentenza, «se è possibile distinguere il diritto al brevetto da quello sul brevetto, e dunque una circolazione distinta di entrambi», ciò non di meno «soltanto chi brevetta il bene ha il potere di esclusiva». Si è dunque in presenza di un vero e proprio vincolo sinallagmatico, «in forza del quale il diritto del lavoratore può essere esercitato nei confronti del datore di lavoro, solo nel caso in cui questi abbia provveduto a brevettare l’invenzione, oppure abbia esercitato, previa brevettazione da parte del lavoratore, l’opzione di acquisto dello stesso, o del suo uso esclusivo o non esclusivo».

In questo senso non può condividersi la tesi del ricorrente neppure quando asserisce che «il brevetto richiesto dalla società che esercita il controllo sull’odierna controricorrente, costituirebbe la prova di un uso di fatto dell’invenzione da parte di quest’ultima, sufficiente a far sorgere il diritto al compenso del ricorrente». E tanto per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, perché contrasta con la normativa di riferimento (articoli 4 e 24 Rd n. 1127/1939, e 2584 Cc ) che «non ammette un esercizio di fatto del diritto di prelazione». In secondo luogo, perché il supposto collegamento con la casa madre non è mai stato dimostrato (e la società italiana non ha mai esercitato la prelazione).

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