Uncategorized / 26 Aprile 2015 / by Vincenzo Vinciguerra

LE IPOTESI DI CONCORRENZA SLEALE

Le ipotesi di concorrenza sleale e la causa petendi

 

L’ipotesi prevista dall’art. 2598 c.c., n. 3 – consistente nell’avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo “non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda” (concorrenza sleale) –  si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 e costituisce un’ipotesi autonoma di possibili casi alternativi, per i quali è necessaria la prova in concreto dell’idoneità degli atti ad arrecare pregiudizio al concorrente. Ne consegue che, se a fondamento della domanda sono allegati atti di imitazione servile, come tali integranti concorrenza sleale per la loro intrinseca idoneità a creare confusione con i prodotti e l’attività del concorrente, non può il giudice sostituire alla “causa petendi” della domanda una “causa petendi” diversa sia sotto il profilo giuridico che sotto quello dei fatti materiali, né porre i medesimi fatti,invocati dall’attore come atti di imitazione servile, a fondamento dell’accertamento della concorrenza sleale sotto il diverso profilo dell’art. 2598, n. 3, senza con ciò andare oltre i limiti della domanda proposta.

 

Con la decisione in rassegna la Corte di Cassazione respinge la tesi della ricorrente secondo cui l’art. 2598, n. 3, c.c.
configurerebbe una ipotesi di responsabilità strettamente connessa alle ipotesi di cui ai nn. 1 e 2 del medesimo articolo,
di tal che l’impugnazione della sentenza relativamente alla ritenuta violazione dell’art. 2598 c.c., n. 1 sotto il
profilo dell’imitazione servile avrebbe incluso l’impugnazione della violazione ex art. 2598, n. 3, c.c.
Il principio espresso dalla massima non è inedito e, con la sentenza in rassegna, il Supremo Collegio richiama propri
precedenti conformi. In particolare, si ritiene che le fattispecie nominativamente previste rispettivamente dai nn. 1,
2 e 3 dell’art. 2598 c.c. rinviino a distinte specifiche condotte lesive, per l’appello alle quali occorre specifica allegazione
e documentazione. D’altra parte, il rapporto tra la fattispecie di imitazione illecita ai sensi dell’art. 2598, n. 1,
c.c. (di ciò si discuteva in causa) rispetto alla previsione di cui al n. 3 della medesima norma non può ritenersi di reciproca
integrazione anche alla luce del puro dato letterale per cui deve trattarsi, per l’integrazione di fattispecie di cui
al n. 3, di ogni “altro” mezzo non conforme a correttezza.È nota peraltro la tendenza, impropria, di far atteggiare la
residualità della norma di cui all’art. 2598, n. 3, c.c. non già, appunto, a disciplina di fattispecie “altre” rispetto a
quelle previste nelle diverse figure di cui ai nn. 1 e 2 di cui al medesimo art. 2598 c.c.: bensì come idoneità della norma
a sanzionare comportamenti (imitativi, di appropriazione, ecc.) in realtà insuscettibili di incontrare i divieti di cui
ai nn. 1 e 2 della norma codicistica. Si tratta per lo più di decisioni a matrice moraleggiante, con le quali la norma di
cui all’art. 2598, n. 3, c.c. è adibita a bastione sanzionatorio di atti altrimenti insuscettibili di sanzione e che dunque dovrebbero considerarsi semmai perfettamente leciti: così a dire, per esempio, di un’imitazione servile che non riguarda
elementi capricciosi e individualizzanti e che tuttavia, se

 

Vedi Cassazione civile, Sez. I, 4 dicembre 2014, n. 25652 – Pres. Ceccherini – Est. Ragonesi – P.M. Corazzanti (contrario) – HFV S.p.A. (già Blue Box S.r.l.) c. Antoni S.r.l. in liquidazione)

 

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LE IPOTESI DI CONCORRENZA SLEALE

Le ipotesi di concorrenza sleale e la causa petendi

 

L’ipotesi prevista dall’art. 2598 c.c., n. 3 – consistente nell’avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo “non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda” (concorrenza sleale) –  si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 e costituisce un’ipotesi autonoma di possibili casi alternativi, per i quali è necessaria la prova in concreto dell’idoneità degli atti ad arrecare pregiudizio al concorrente. Ne consegue che, se a fondamento della domanda sono allegati atti di imitazione servile, come tali integranti concorrenza sleale per la loro intrinseca idoneità a creare confusione con i prodotti e l’attività del concorrente, non può il giudice sostituire alla “causa petendi” della domanda una “causa petendi” diversa sia sotto il profilo giuridico che sotto quello dei fatti materiali, né porre i medesimi fatti,invocati dall’attore come atti di imitazione servile, a fondamento dell’accertamento della concorrenza sleale sotto il diverso profilo dell’art. 2598, n. 3, senza con ciò andare oltre i limiti della domanda proposta.

 

Con la decisione in rassegna la Corte di Cassazione respinge la tesi della ricorrente secondo cui l’art. 2598, n. 3, c.c.
configurerebbe una ipotesi di responsabilità strettamente connessa alle ipotesi di cui ai nn. 1 e 2 del medesimo articolo,
di tal che l’impugnazione della sentenza relativamente alla ritenuta violazione dell’art. 2598 c.c., n. 1 sotto il
profilo dell’imitazione servile avrebbe incluso l’impugnazione della violazione ex art. 2598, n. 3, c.c.
Il principio espresso dalla massima non è inedito e, con la sentenza in rassegna, il Supremo Collegio richiama propri
precedenti conformi. In particolare, si ritiene che le fattispecie nominativamente previste rispettivamente dai nn. 1,
2 e 3 dell’art. 2598 c.c. rinviino a distinte specifiche condotte lesive, per l’appello alle quali occorre specifica allegazione
e documentazione. D’altra parte, il rapporto tra la fattispecie di imitazione illecita ai sensi dell’art. 2598, n. 1,
c.c. (di ciò si discuteva in causa) rispetto alla previsione di cui al n. 3 della medesima norma non può ritenersi di reciproca
integrazione anche alla luce del puro dato letterale per cui deve trattarsi, per l’integrazione di fattispecie di cui
al n. 3, di ogni “altro” mezzo non conforme a correttezza.È nota peraltro la tendenza, impropria, di far atteggiare la
residualità della norma di cui all’art. 2598, n. 3, c.c. non già, appunto, a disciplina di fattispecie “altre” rispetto a
quelle previste nelle diverse figure di cui ai nn. 1 e 2 di cui al medesimo art. 2598 c.c.: bensì come idoneità della norma
a sanzionare comportamenti (imitativi, di appropriazione, ecc.) in realtà insuscettibili di incontrare i divieti di cui
ai nn. 1 e 2 della norma codicistica. Si tratta per lo più di decisioni a matrice moraleggiante, con le quali la norma di
cui all’art. 2598, n. 3, c.c. è adibita a bastione sanzionatorio di atti altrimenti insuscettibili di sanzione e che dunque dovrebbero considerarsi semmai perfettamente leciti: così a dire, per esempio, di un’imitazione servile che non riguarda
elementi capricciosi e individualizzanti e che tuttavia, se

 

Vedi Cassazione civile, Sez. I, 4 dicembre 2014, n. 25652 – Pres. Ceccherini – Est. Ragonesi – P.M. Corazzanti (contrario) – HFV S.p.A. (già Blue Box S.r.l.) c. Antoni S.r.l. in liquidazione)

 

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