Nei reati di diffamazione tramite la rete internet, ove sia impossibile stabilire il luogo di consumazione del reato e sia stato invece individuato quello in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato come dato informatico, per poi essere immesso in rete, la competenza territoriale va determinata, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, del Cpp, in relazione al luogo predetto, in cui è avvenuta una parte dell’azione. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 8482 del 2017.
La Cassazione sviluppa alcune interessanti considerazioni sul tema della individuazione dei criteri per stabilire la competenza “per territorio” in caso di diffamazione commessa via internet. Non è dubitabile, in proposito, che l’immissione di scritti lesivi dell’altrui reputazione nel sistema internet integra il reato di diffamazione aggravata. In tal caso, la comunicazione deve intendersi potenzialmente effettuata erga omnes , sia pure nel ristretto – ma non troppo ambito – di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione a connettersi, consumandosi il reato nel momento in cui il soggetto crei o utilizzi lo spazio web per diffondere il messaggio: ciò perché quando il messaggio diffamatorio è inserito in un sito internet, per sua natura destinato a essere normalmente visitato da un numero indeterminato di soggetti, deve presumersi la sussistenza del requisito della “comunicazione con più persone”, a nulla rilevando l’astratta e teorica possibilità che esso non sia letto da alcuno (cfr. Sezione V, 4 aprile 2008, Tardivo).
Ai fini della competenza per territorio, il locus commissi delicti della diffamazione telematica è quindi da individuare in quello in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete e, dunque, nel luogo in cui il collegamento viene attivato e ciò anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all’estero, purché l’offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovano in Italia (cfr. Sezione V, 17 novembre 2000, Pm in proc. ignoti; Sezione V, 21 giugno 2006, Cicino e altro; Sezione II, 21 febbraio 2008, Buraschi e altro). In questa prospettiva, in ragione delle modalità tecniche della trasmissione, per la competenza, è normalmente necessario fare ricorso ai criteri suppletivi fissati dal comma 2 dell’articolo 9 del Cpp,ossia il luogo di domicilio dell’imputato (cfr. puntualmente Sezione I, 21 dicembre 2010, Confl. in proc. Gennari). Ciò non esclude, e in questo senso è la sentenza in commento, che, prima di ricorrere a detti criteri (residualmente) suppletivi dettati dalla norma, vi possano essere gli spazi per il preferenziale ricorso al criterio di cui all’articolo 9, comma 1, del Cpp,avendo cioè riguardo al luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione: ciò è ovviamente possibile solo allorquando emergano indicazioni precise sul luogo ove il contenuto diffamatario è stato caricato come dato informatico.
In precedenza, nello stesso senso, Sezione V, 19 maggio 2015, Vulpio, la quale ha tratto conforto argomentativo dalla recente sentenza delle Sezioni unite 26 marzo 2015, laddove, intervenendosi sul tema della competenza per territorio in ordine al reato di cui all’articolo 615 ter del Cp, si è affermato che quando un soggetto accede a un sistema informatico, il luogo del fatto deve individuarsi non nella allocazione fisica del server host, bensì laddove il soggetto, dotato di un hardware in grado di collegarsi con la rete, effettui l’accesso in remoto.
Proprio i criteri enunciati dalle Sezioni unite possono essere quindi mutuati per il caso di upload di un articolo a contenuto diffamatorio, che pertanto deve ritenersi effettuato non nel luogo dove si trova l’elaboratore elettronico che conserva e rende disponibili i dati per l’accesso degli utenti, bensì nel luogo in cui il caricamento del dato “informatico” viene effettivamente eseguito.
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